In Italia si stanno verificando due fenomeni simultanei: da un lato i contratti di lavoro dipendente si svuotano di valore e garanzie; dall’altro lavoratrici e lavoratori autonomi sono trattati da subordinati e non hanno nemmeno un orizzonte contrattuale collettivo a rappresentarli. La perdita di garanzie nel lavoro dipendente origina dalla grande instabilità produttiva e finanziaria di molti settori produttivi e terziari, segnati da licenziamenti, delocalizzazioni e subappalti fortemente precarizzanti. La crescita del lavoro autonomo nel settore dei servizi riflette un processo di massificazione non disciplinata del lavoro tecnico-intellettuale: avvocate e avvocati, architette e architetti, ingegnere e ingegneri ecc. vengono inquadrati in strutture aziendali gerarchiche, o lavorano per studi medio-piccoli che fanno parte di una filiera di subappalti tecnici. Questi movimenti convergenti – precarizzare i contratti di lavoro subordinato e subordinare de facto lavoratrici e lavoratori autonomi – costituiscono un doppio vantaggio per molti datori di lavoro e per i grandi investitori.
Spesso, nel dibattito pubblico vengono fomentati scontri tra generazioni (boomer garantiti vs giovani precari), fra chi ha un contratto a tempo indeterminato e chi è a partita iva, tra italiani e stranieri, tra lavoratori nel pubblico e nel privato ecc. Questo tipo di opposizioni è alla base di tutti i discorsi politici escludenti, cioè quelli in cui si individuano una o più categorie colpevoli interne alla massa lavoratrice su cui catalizzare l’odio e l’invidia delle altre categorie. E così gli stranieri rubano il lavoro, gli autoctoni sono tutti ricchi, gli anziani godono di privilegi ingiusti, i giovani non hanno voglia di lavorare, i lavoratori subordinati sono tutti garantiti, le partite iva sono fiscalmente avvantaggiate ecc.
Noi invece puntiamo a unire tutte le persone sfruttate, impoverite e sotto pressione – o comunque intenzionate a promuovere la sostenibilità sociale del lavoro – quali che siano la loro categoria e la loro condizione contrattuale, per definire dal basso compensi minimi e tutele inalienabili che inizino ad essere reclamate e operative in ogni formula di ingaggio, attraverso la forza solidale della rivendicazione collettiva e l’efficacia di un’azione informativa condivisa, consapevole e facile da diffondere.
Il tavolo di lavoro Giovani ed equo compenso è indirizzato a tutte le persone che qui e ora lavorano a tempo pieno in studi e società di progettazione e sono perlopiù ingaggiate a partita IVA; la particolare attenzione nei confronti delle e dei giovani è motivata dalla particolare fragilità nella contrattazione di cui soffre chi inizia il proprio percorso professionale e che segna l’intera evoluzione di tale percorso. Il tavolo comincerà la propria attività ponendosi collettivamente alcune domande fondamentali: che costi dobbiamo affrontare per vivere? Quanto tempo dedichiamo al lavoro? A quanto ammontano le nostre attuali retribuzioni? Quali sono le nostre condizioni di lavoro? Mettendo in relazione quanto emergerà da questa indagine, verranno formulate indicazioni di compenso e rivendicazioni di tutele utili a stabilire un orizzonte minimo di sostenibilità sociale del lavoro.
Il tavolo Verso un contratto nazionale si attiverà in parallelo per valutare l’adozione su larga scala e il miglioramento del contratto nazionale degli studi professionali che ad oggi, in architettura, ha un tasso di adozione scarsissimo e delle soglie retributive minime insufficienti. L’adozione di un contratto collettivo è un obiettivo importante nel medio termine per riconoscere una collettività lavoratrice, darle reale rappresentanza e potere contrattuale. Coinvolgendo diversi soggetti istituzionali e sindacali, l’Unione intende fare pressione affinché i datori di lavoro abbiano l’obbligo di proporre a lavoratrici e lavoratori la scelta tra assunzione e partita IVA (modulando opportunamente le relative offerte) e le casse previdenziali facilitino al massimo i passaggi di condizione e la congiunzione contributiva.