Negli ultimi quindici anni, in diversi paesi europei e in Nord America, si evidenzia un nuovo interesse politico e sindacale per le condizioni di lavoro degli architetti, e in particolare dei giovani, che lavorano stabilmente presso studi e società di progettazione: in Spagna, è attivo il Sindicato de Arquitectos (attivo dal 2008, subito dopo lo scoppio della “bolla immobiliare” iberica); in Portogallo, il Sintarq (Sindacato dei lavoratori in Architettura, dal 2020); in Gran Bretagna, il Future Architects Front e la “Section of Architectural Workers” della Union “United Voices of the World”; in Olanda, il gruppo NAA! (Nederlands Angry Architects); negli Stati Uniti d’America, la Architecural Workers United si batte per una professione equa e The Architecture Lobby ha fornito alcuni contributi teorici al dibattito.
Gli aspetti ricorrenti nelle analisi di attivisti e sindacalisti sono legati principalmente ai bassi compensi riservati a chi inizia, all’alto livello di stress e agli orari di lavoro eccessivi; le parole chiave ricorrenti sono: sfruttamento, precarietà, bassi salari, abusi di potere e assenza di tutele.
Per la prima volta nella storia assistiamo al tentativo di individuare, nell’ambito della progettazione architettonica e dei mestieri affini, una collettività di lavoratori sfruttati, in opposizione al gruppo di chi sfrutta. “Siamo assistenti alla progettazione, tecnici BIM, lavoratori amministrativi, designer d’interni, modellisti, architetti del paesaggio, architetti tecnici, urbanisti, renderisti, designer grafici, studenti, educatori, addetti alle pulizie, ricercatori, artisti, staff di supporto agli studi e architetti. NON SIAMO i capi, l’establishment dell’architettura o quelli che hanno il potere di assumere e licenziare” (Section of Architectural Workers – United Voices of the World).
Secondo Marisa Cortright, il sistema produttivo e culturale dominante rende problematico l’autoriconoscimento degli architetti come lavoratori perché sono prigionieri di una vocazione artistica usata come leva di sfruttamento: “Gli studi di architettura devono nutrire il senso di vocazione tra i propri architetti in modo da trattenerli al lavoro anche quando non possano o non vogliano aumentare loro stipendi e benefici. […] Riformulare le aspettative degli architetti riguardo alla natura del proprio lavoro li spingerebbe come lavoratori a reclamare i propri diritti e le giuste compensazioni per tirocini e straordinari non pagati”.
In Italia, il riconoscimento pubblico di una collettività di lavoratori sfruttati nella progettazione è reso ulteriormente difficile da alcuni fattori principali: terminato il percorso di studi i giovani vengono spinti ad aprire una partita IVA, formulare la propria offerta individuale in sede di colloquio ed iscriversi ad un Ordine professionale anche se non firmeranno quasi alcun progetto per diversi anni. Non esistono contratti nazionali che inquadrino la figura dell’architetto e la pratica della finta partita IVA dilaga nella maggior parte degli studi e delle società di progettazione. In secondo luogo, i grandi studi si concentrano perlopiù in alcuni contesti metropolitani ma l’intero territorio è ricchissimo di studi medio-piccoli, all’interno dei quali è ancora più difficile decifrare con chiarezza i rapporti di sfruttamento, spesso schermati dalla vicinanza – economica, anagrafica o di mansioni – fra titolari e sottoposti, o dalla posizione di subappaltatori tecnici che tali studi ricoprono nei confronti di quelli più grandi e organizzati. Infine, a sfavore dei giovani gioca un senso diffuso di svalutazione dell’apprendistato, visto come condizione da punire o al più come dono del titolare nei confronti del lavoratore, considerato incapace di fornire qualsiasi contributo valido.
Questo tavolo di discussione ambisce a problematizzare la condizione giovanile nei mestieri della progettazione architettonica non solo dal punto di vista economico e di tutele, ma guardandola attraverso diverse lenti: quali chiavi possono fornire gli studi sociologici e psicologici per indagarne le ricadute sul piano individuale e dei rapporti sociali? Come la storia del lavoro può illuminare alcuni snodi cruciali nelle vicende di emancipazione e frammentazione della collettività lavoratrice? Giurisprudenza ed esperienza sindacale possono aiutarci ad immaginare modi di superare la situazione esistente, attraverso l’applicazione e la modifica delle leggi e costruendo solidarietà?
Al tavolo sono invitati architetti, sociologi, giuslavoristi, storici del lavoro, psicanalisti e chiunque altro voglia contribuire alla discussione.
Report dell’iniziativa:
Sono intervenuti, in ordine di apparizione:
– Eloisa Betti, storica del lavoro (Università di Padova);
– Annalisa Murgia, sociologa (Università di Milano);
– Elena Lott, sindacalista di Slang USB;
– Andrea Borghesi, segretario generale di Nidil CGIL;
– Ivan Assael, avvocato giuslavorista (Studio Moshi);
– Florencia Andreola, ricercatrice indipendente;
– Junior Perri, Ullarc.
Danilo Iannetti e Mauro Sullam hanno presentato le iniziative di Ullarc, dalla stesura del manifesto aperto in avanti: incontri pubblici sul territorio, tavoli di lavoro e sessioni di ascolto, tutto con l’obiettivo di mappare la complessità del lavoro in architettura e favorire la trasparenza dei compensi. Hanno evidenziato la condizione contraddittoria dei neolaureati: da un lato, vengono spinti ad iscriversi a un ordine professionale e ad aprire partita IVA, configurandosi come professionisti autonomi fin dal principio: è in questa veste che durante i primi colloqui di lavoro viene chiesto loro di autovalutarsi e fare la propria offerta economica. Dall’altro, viene loro fatta pesare l’inesperienza ed essi vengono inseriti alla stregua di apprendisti in contesti lavorativi para-subordinati e sottopagati.
Eloisa Betti, storica del lavoro, ha affrontato il tema delle condizioni lavorative dei giovani collaboratori nel contesto delle professioni tecniche, che hanno subito un processo di proletarizzazione durato diversi decenni. Ha evidenziato come il lavoro autonomo sia aumentato a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, portando a una nuova ondata di precarizzazione. Ha sottolineato l’importanza di una contrattazione collettiva che non si limiti ai minimi retributivi, ma riconosca i giovani come soggetto collettivo per garantire loro un peso contrattuale: a tal proposito, ha riconosciuto l’importanza dei processi di autorganizzazione dal basso, situando l’attività di Ullarc entro tali processi.
Annalisa Murgia, sociologa, ha presentato alcune riflessioni sul progetto di ricerca europeo
SHARE , che ragiona sulla rappresentanza collettiva dei lavoratori autonomi. Ha sottolineato l’eterogeneità delle situazioni lavorative in Europa e l’esistenza di un lavoro autonomo genuino, che richiede tutele e progressività sociale. Ha paragonato il welfare universalistico di tipo nord-europeo con quello italiano, basato sul lavoro dipendente. Ha evidenziato come il modello fordista sia stato sostituito dal post fordismo, che ha portato a una personalizzazione della cultura aziendale e alla responsabilizzazione individuale; ha richiamato gli studi di Sergio Bologna sui knowledge workers. Ha sottolineato la necessità di un equilibrio tra l’appartenenza a un gruppo e l’unicità individuale, nonché l’importanza dell’autorganizzazione per l’ottenimento e la difesa dei diritti.
Elena Lott,sindacalista di Slang USB, ha presentato l’attività sindacale di USB come quella di un sindacato di classe, evidenziando l’importanza di questa impostazione nel contesto italiano, dove il problema della compressione salariale è sempre più evidente mano a mano che il costo della vita diviene sempre più elevato. Ha inquadrato quello dell’architetto come un lavoro culturale, richiamando alcune esperienze di rivendicazione politica come quella di Mi riconosci (https://www.miriconosci.it/). Ha portato l’esempio delle lotte dei riders per illustrare come non sempre l’approdo a un contratto nazionale sia sinonimo di tutele adeguate, visto che in quel caso il contratto raggiunto risulta estremamente carente.
Andrea Borghesi, segretario generale di Nidil CGIL, ha evidenziato come il lavoro nel settore dell’architettura è un campo complesso e articolato, e la situazione dei giovani collaboratori è emblematica di molti problemi che affliggono il mondo del lavoro. Bisogna partire dal riconoscimento della figura dell’architetto come lavoratore e non solo come professionista autonomo. L’assenza di una contrattazione collettiva nazionale specifica per il settore impedisce di garantire diritti e tutele a coloro che operano nell’architettura. È necessario stabilire un confronto tra le diverse realtà sindacali e associazioni professionali per costruire una piattaforma comune che rappresenti e tuteli i giovani collaboratori.
Ivan Assael, avvocato giuslavorista, ha affrontato il tema delle forme contrattuali nel settore dell’architettura. Ha sottolineato la mancanza di chiarezza normativa riguardante il lavoro autonomo e la collaborazione coordinata e continuativa. Ha evidenziato che molti giovani architetti sono costretti a lavorare come autonomi per mancanza di alternative contrattuali adeguate. Assael ha descritto le caratteristiche del lavoro autonomo come un’opera o un servizio senza vincolo di subordinazione, sottolineando la necessità di una definizione chiara in ambito legislativo. Ha evidenziato che le definizioni legislative attuali per la collaborazione coordinata e continuativa risultano inadeguate per il settore dell’architettura. Ha concluso affermando l’importanza di una normativa più precisa e adattata alle specificità della professione degli architetti ed ha sottolineato che una legislazione più chiara e completa potrebbe offrire maggiori opportunità e sicurezza per i professionisti del settore, consentendo loro di operare in modo trasparente e tutelato.
Florencia Andreola, ricercatrice indipendente, ha legato la condizione dei giovani collaboratori negli studi di architettura alle dinamiche del mercato del lavoro e alle politiche che lo governano. Ha dunque affermato l’importanza di avviare una ricerca scientifica, basata su diversi approcci (economico, sociologico, statistico ecc.) che sia in grado di descrivere e mappare questo mercato, ben al di là di ciò che riguarda solo i liberi professionisti. Solo così, secondo Andreola, sarebbe possibile capire come incidere sulla condizione di precarietà dei giovani.
Junior Perri, membro di Ullarc, ha condiviso la sua esperienza come lavoratore dell’architettura. Ha parlato della Finlandia, paese in cui opera, dove il potere di apporre la firma su progetti è riservato ai professionisti con esperienza. Nel contesto finlandese, il contratto nazionale per i lavoratori dell’architettura è molto semplice poiché il sistema di welfare è universalistico. Le condizioni di lavoro prevedono una settimana lavorativa di 37,5 ore (equivalenti a 7,5 ore al giorno) e gli straordinari vengono pagati al doppio. Ci sono varie associazioni professionali e alcuni sindacati che rappresentano i lavoratori del settore. Inoltre, esistono otto livelli contrattuali, in cui la laurea in architettura occupa una posizione intermedia. È possibile progredire di categoria anche attraverso l’esperienza pratica.
In conclusione, l’incontro ha evidenziato la complessità della condizione dei giovani collaboratori negli studi di architettura, mettendo in luce le contraddizioni e le sfide che devono affrontare. È emersa la necessità di una maggiore tutela e riconoscimento dei diritti dei lavoratori nel settore, nonché di una contrattazione collettiva che rappresenti i giovani collaboratori e ne garantisca condizioni di lavoro più eque.
L’organizzazione sindacale, la solidarietà tra professionisti e la promozione di reti di collaborazione sono stati individuati come strumenti cruciali per affrontare i problemi legati alla precarietà e alla subordinazione mascherata. Inoltre, è emersa la necessità di coinvolgere attivamente le istituzioni, le associazioni professionali e le organizzazioni sindacali per promuovere una legislazione più adeguata e una maggiore tutela dei diritti dei giovani collaboratori.
È fondamentale continuare a sensibilizzare l’opinione pubblica e a promuovere una maggiore consapevolezza delle difficoltà che affrontano i giovani professionisti nell’ambito dell’architettura. Solo attraverso un impegno collettivo e una maggiore collaborazione tra tutte le parti interessate sarà possibile ottenere cambiamenti significativi e migliorare la condizione dei giovani collaboratori nel settore.
Gli interventi dei partecipanti hanno evidenziato la necessità di una visione più ampia e olistica del lavoro nell’architettura, che vada oltre l’aspetto puramente individuale e consideri l’architettura come un’attività collettiva e collaborativa. Solo attraverso la costruzione di una comunità solidale e la promozione di valori etici e professionali sarà possibile creare un ambiente di lavoro più equo e sostenibile per i giovani collaboratori.
La strada per migliorare la condizione dei giovani collaboratori negli studi di architettura sarà complessa, ma l’impegno collettivo e la determinazione nel promuovere cambiamenti significativi possono portare a una maggiore equità e a una professione più inclusiva e sostenibile per tutti.