manifesto
Per le lavoratrici e i lavoratori, per le giovani e i giovani tutti, per il nostro futuro.
1 - Un panorama professionale complesso
Nel nostro Paese, la condizione di chi lavora in architettura è particolarmente complessa e sfaccettata. C’è chi lavora a tempo pieno in uno studio senza avere un contratto, chi pratica come libera/o professionista autonoma/o; esistono titolari di studi più o meno grandi; troviamo freelance che offrono la propria consulenza a progetto; ci sono architette/i assunti in aziende ed imprese di costruzioni; altre/i nella Pubblica Amministrazione, nella scuola o nell’Università. Soprattutto, sono numerosi i casi in cui questi percorsi si sovrappongono: la/il libero professionista che insegna a scuola; la/il freelance che rasenta la monocommittenza; la/il titolare di un piccolo studio che non arriva a fine mese e arrotonda lavorando in un altro studio. Ad allargare la visuale, ci troviamo al cospetto di un processo progettuale e produttivo così complesso da riunire nella propria sfera un arco di mestieri, ruoli e conoscenze molto più vasto rispetto alla sola professione di chi vi è abilitata/o, come vaste e ramificate sono le implicazioni dell’abitare e del costruire nella società.
2 - Architectural workers: lavoratrici e lavoratori dell’architettura
Ciò che ci ha avvicinati, e ci ha portati a costituirci in un gruppo, è il riconoscimento di una condizione, che molti gruppi internazionali stanno tentando di definire: quella di “architectural worker”, e cioè di lavoratrice/lavoratore dell’architettura. Che cosa significa, per noi, essere lavoratrice e lavoratore dell’architettura? Per comprenderlo, è necessario spostare l’attenzione dal prodotto alla produzione, dal risultato alle condizioni di chi lo rende possibile. Se oggi il prestigio di un’attività professionale si basa sull’opera realizzata e, a volte, sulla narrazione positiva con la quale viene presentata (con parole chiave quali bellezza, sostenibilità, inclusione, diversità), è necessario porre questo prestigio al vaglio di una semplice domanda: in che condizioni ha operato chi ha disegnato, misurato, verificato, edificato, consegnato quell’opera? Seguendo questo interrogativo, ci siamo spesso imbattuti in situazioni di perdita di autonomia, sfruttamento, auto-sfruttamento, forte pressione psicologica, lavoro dilagante in ogni dimensione della vita e in ogni orario, consegne anticipate in modo insensato, incarichi al ribasso, mancata verifica di aspetti fondamentali. E ci siamo resi conto che sono precisamente queste condizioni a svuotare di significato l’atto stesso del costruire, a trasformarlo facilmente in un danno sociale e ambientale a lungo termine, dopo aver danneggiato chi vi lavora e in contraddizione con qualsiasi dichiarazione sulla sostenibilità.
Lavoratrici e lavoratori dell’architettura sono per noi tutte e tutti coloro che, attraverso l’esperienza e l’osservazione diretta, prendono coscienza di come l’autonomia di giudizio, il benessere lavorativo proprio e altrui, e il rispetto del tempo incomprimibile richiesto da ogni fase debbano essere i primi mattoni di ogni edificio, la prima linea di ogni disegno, e che operano per tutelare e promuovere questi presupposti.
Questa convinzione, che abbiamo maturato non in astratto ma osservando e vivendo determinate condizioni di mestiere tossico, è ciò che ci unisce. Per questo, essere lavoratrici e lavoratori dell’architettura significa assumersi attivamente la responsabilità dei nostri bisogni e del nostro ruolo, riconoscerli e farli riconoscere. Nel nostro gruppo si sono ritrovati fianco a fianco persone che lavorano in proprio, “finte partite IVA”, freelance: abbiamo deciso di opporci alla catena del disvalore, e di farlo assieme. Tra di noi c’è chi è o è stata/o sfruttata o sfruttato, ma c’è anche chi non vuole sfruttare. C’è chi vive sotto un’enorme pressione lavorativa e non lo ritiene giusto non solo per sé, ma anche per gli altri.
L’intimo rispetto di chi lavora, del suo benessere e del suo tempo, rende possibile non ridurre l’indirizzo della nostra battaglia né alle sole “finte partite IVA” né ai soli possessori del titolo di architetta o architetto, del quale riconosciamo un’importante specificità – il lavoro complesso e paziente sullo spazio – ma che contestualizziamo in una collettività di mestieri più ampia: lavoratrici e lavoratori dell’architettura possono essere anche maestranze di cantiere, renderiste e renderisti, geometre e geometri, ingegnere e ingegneri, personale amministrativo o universitario: chiunque entri a far parte del ciclo di produzione dello spazio, nella sua edificazione materiale o nella sua anticipazione grafica o culturale.
3 - Primi passi verso una nuova consapevolezza
Nell’agosto del 2022, la nostra Ilaria Moroni – giovane architetta di Perugia – è stata intervistata dal telegiornale regionale umbro e ha dato voce a una realtà di incarichi precari e sottopagati negli studi di architettura, che rientrano nel fenomeno delle cosiddette finte partite IVA. Dopo essere stata contattata da diverse colleghe e colleghi che si sono riconosciuti nel suo racconto, Ilaria ha aperto online un gruppo di discussione su Telegram, Arch*rivoluzione che è rapidamente arrivato a oltre trecento iscrizioni. Al contempo, ha ricevuto decine di messaggi dai quali ha raccolto testimonianze di incarichi sottopagati, pagati per nulla, stressanti, poco organizzati. A partire da quell’iniziativa, nell’ottobre del 2022, con la volontà di unire idee e intenti e affrontare la situazione, si è formato il nostro gruppo che, riunendosi per via telematica e in presenza, sta portando avanti una discussione collettiva sul lavoro in architettura.
Siamo persone di provenienza e condizione diverse, come attualmente eterogenea è la realtà professionale dell’architettura italiana: per questo non agiremo come sindacato di classe né come associazione di categoria, ma come gruppo aperto, accomunato dalle convinzioni e dalle pratiche più che dalle appartenenze.
Usciremo dal perimetro dei problemi strettamente professionali e di categoria per mettere a fuoco anche le questioni sociali e ambientali a cui questi sono connessi. Cercheremo di costruire una nuova consapevolezza che, partendo dalla tutela delle lavoratrici e dei lavoratori, sia in grado di attivare connessioni inedite tra condizioni professionali apparentemente distanti e di favorire una partecipazione attiva a un cambiamento che non può più attendere. Intendiamo mettere la nostra formazione tecnica e culturale a servizio di un nuovo dibattito sulla sostenibilità, che si concentri non solo sulle prestazioni del costruito ma anche sulle condizioni di chi costruisce.
4 - Qualcosa si muove
Lo sfruttamento, la pressione e le difficoltà che le lavoratrici e i lavoratori negli studi di architettura vivono quotidianamente ha assunto visibilità pubblica soprattutto a partire dalla crisi del 2008, che ha comportato una notevole compressione del fatturato medio negli studi di progettazione, mettendo sotto ulteriore stress un panorama lavorativo già fortemente deregolamentato. Negli ultimi quindici anni sono stati pubblicati articoli, libri, blog e post sui social network che discutono e denunciano queste condizioni, concentrandosi spesso sulle finte partite IVA, sugli stage sottopagati, sul lavoro totale e su altri fenomeni di sfruttamento e pressione lavorativa.
Il dibattito e l’attivismo hanno oggi una dimensione internazionale: il Sindicato de Arquitectos in Spagna è attivo dal 2008 (subito dopo lo scoppio della “bolla immobiliare” iberica); dal 2019, in Portogallo opera il Sintarq (Sindacato dei lavoratori in Architettura); in Gran Bretagna troviamo il Future Architects Front e la “Section of Architectural Workers” della Union “United Voices of the World”; in Olanda si è formato il gruppo NAA! (Nederlands Angry Architects); negli Stati Uniti d’America la Architecural Workers United si batte per una professione equa e The Architecture Lobby ha dato contributi teorici al dibattito. E sono solo alcuni esempi.
In Italia, la pagina Instagram Riordine degli Architetti svolge un’importante opera di denuncia anonima che ha acceso i riflettori sul fenomeno delle finte partite IVA ma, per trovare associazioni che esercitano un ruolo simile ai gruppi esteri più strutturati e propositivi, bisogna guardare ad altri settori attigui come quello dell’arte, con l’esempio di Art Workers Italia.
5 - Ripensare la formazione
Il percorso di formazione universitaria è spesso il primo ambito nel quale chi lavorerà in architettura si imbatte in alcuni grandi problemi: l’occultamento del processo produttivo, l’ossessione della performance e la retorica della vocazione. Ci viene insegnato un approccio al lavoro poco attento al benessere psico-fisico, scandito da consegne pressanti che non lasciano a studentesse e studenti il tempo per coltivare altri interessi al di fuori dell’ambito didattico. Il culto dell’autore e quello dell’opera compiuta prevalgono sull’approfondimento dei processi di produzione individuali e collettivi e instillano in chi studia l’aspirazione ad essere protagonisti brillanti e visionari, come se l’architettura fosse solo questione di talento e di vocazione.
Le giovani e i giovani neolaureati si dispongono così a trascurare il proprio malessere in ambito lavorativo pur di portare avanti le richieste, spesso e volentieri irrealistiche, che vengono imposte dal “datore di lavoro” o dal committente, pubblico o privato che sia.
Questo tipo di formazione, dove opera, diviene il presupposto per l’auto-svalutazione della persona e delle sue capacità. Vengono accettati tirocini poco o per nulla retribuiti quando in realtà, così come si riconosce l’esperienza professionale che gli studi mettono a disposizione di neolaureate e neolaureati, allo stesso modo dovrebbe essere riconosciuto l’apporto specifico che le giovani e i giovani sanno portare, con la propria autonomia e freschezza di pensiero.
Non va inoltre dimenticato come le università stesse siano spesso luoghi di lavoro precario, frammentato e svalutato anche per chi insegna e per chi supporta l’attività didattica – rendendo difficile a queste persone lo svolgimento del proprio mandato educativo – oltre che laboratori di lavoro semi-gratuito, proposto a neo-laureate e neo-laureati sotto forma di stage assolutamente inadeguati sotto il profilo retributivo.
6 - Agire insieme per un lavoro equo
Abbiamo la volontà di cambiare, con la nostra azione collettiva, una condizione di lavoro svalutato, totalizzante e poco tutelato per via di collaborazioni scorrette negli studi, per concorsi e procedure pubbliche che perseguono solo il massimo ribasso e precludono l’accesso alle/ai giovani, per committenti di peso che esercitano la propria forza al fine di ridimensionare costantemente le parcelle e ridurre i tempi di consegna (e che hanno trovato una disponibilità illimitata in molte/i titolari), per gli ostacoli fiscali e previdenziali nell’inquadramento di situazioni complesse, per mille altri motivi che hanno tutti l’effetto di comprimere il valore del lavoro e intossicare le nostre esperienze professionali.
Incontrandoci e discutendo, abbiamo superato gli steccati che parevano dividere del tutto le nostre condizioni professionali e abbiamo trovato la possibilità di convergere in una prospettiva comune: il lavoro equo.
Affermiamo l’equità del lavoro come prerogativa imprescindibile di ogni incarico e di ogni accordo, sia con la committenza che con altri professionisti: equità del lavoro per noi significa adeguatezza dei compensi e delle forme di incarico, equilibrio fra lavoro e tempo libero, rapporti professionali non prevaricanti né discriminatori, parità di accesso a concorsi ed incarichi.
Intendiamo affrontare questo problema in una dimensione collettiva di confronto e di aiuto, perché spesso molte e molti di noi si sono trovati isolati e per questo non hanno potuto incidere sulla propria condizione, al di là di alcuni margini di contrattazione individuale.
Il nostro sarà un percorso complesso e non privo di ostacoli, e si estenderà nel tempo. Questo documento è il primo passo – speriamo – di molti a venire. Ci impegniamo a coordinare la diversità delle condizioni lavorative in una prospettiva comune, perché è proprio dall’unione consapevole di differenti punti di vista che si può avere davvero una visione ad ampio spettro. Riserveremo un’attenzione particolare alle lavoratrici e ai lavoratori più giovani, perché si sentano liberate/i dalla retorica del giovane incapace, senza esperienza, disponibile al sacrificio: spesso sono proprio le/i giovani ad avere l’energia e gli strumenti per fare meglio, la leva del cambiamento.
Saremo un volto collettivo, uno spazio sicuro per chi deve affrontare problemi individuali di svalutazione del lavoro: daremo consigli e indicazioni per venirne a capo, basandoci su un’attività continua di osservazione, di dialogo e di studio, attraverso diversi tavoli di lavoro.
Chi avrà bisogno di aiuto e di riconoscere e migliorare la propria condizione di lavoratrice e lavoratore dell’architettura saprà dove trovarci e come contattarci.
7 - Le nostre proposte
Per le studentesse, gli studenti e le/i neolaureate/i:
- stop ai tirocini gratuiti e sottopagati, a qualsiasi livello, inclusi i tirocini alternativi alla prova scritta per l’esame di Stato;
- sviluppo di una consapevolezza volta a riconoscere il valore del proprio lavoro, per contrastare sul nascere ogni forma di auto-svalutazione e sfruttamento;
- formazione universitaria attenta alla complessità del mestiere, con una didattica che sappia tenere unite le dimensioni della teoria, del progetto, del disegno e del cantiere come momenti di un processo unitario;
- promozione della collaborazione e del rispetto reciproci come base per affrontare l’apprendimento e il mestiere, contro ogni forma di esasperazione competitiva e di perseguimento di un prestigio puramente individuale.
Per i titolari di studi e i liberi professionisti autonomi:
- ristabilire i minimi tariffari, ripensati in base alle esigenze di mercato odierne;
- normalizzare il lavoro dipendente, tramite l’elaborazione di strumenti normativi chiari affinché sia possibile per un titolare assumere (costi equilibrati, CCNL, Inarcassa);
- agevolazioni fiscali per la creazione di luoghi di lavoro consoni;
- quantificazione non sottostimata dei collaboratori necessari e adeguati alla complessità della commessa, per evitare parcelle inadeguate a coprirne i compensi;
- equa accessibilità ai concorsi pubblici e privati;
- calmiere per il ribasso delle parcelle;
- ammortizzatori sociali.
Per le collaboratrici e i collaboratori stabili:
- obiettivo di breve termine: adeguamento immediato di tutti i compensi al costo reale della vita;
- obiettivo tendenziale: estinzione della pratica legalizzata ed ingiusta della finta partita IVA a favore di contratti di assunzione equi e chiari, i quali non precludano la permanenza presso Inarcassa e che facciano capo ad un CCNL in cui siano stabiliti salario minimo, scatti, tutele, monte ore etc.;
- riconoscimento ufficiale e preciso dei ruoli nell’organigramma di studio;
- postazioni di lavoro adeguate in termini di ergonomia, hardware e software;
- equilibrio lavoro/tempo libero (monte ore mensile minimo e massimo, riconoscimento degli straordinari);
- adeguata copertura per incidenti, malattia ecc.;
- dispositivi di tutela della maternità e della paternità, in termini paritari fra donne e uomini.
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